alcuni testi rimasti nel cassetto…

COME DI SCIROCCO

Come di scirocco
calda una folata
dolce il suo tocco
nella tua vita è entrata

Quante cose sai di lei,
lei, mondo da imparare
quante ancora non ne sai.
e non ti stancherai di sapere!

Lei, la tua Joie de vivre
calda di giallo e ocra
lei, intimo esprit libre
blu come il cielo là sopra

Come un’evasione
lei aria da respirare
continua tentazione
di mani da intrecciare.

Lei che è ovunque
lei che ti brivida
lei che illumina quando c’è
lei smisurata emozione.
Lei sempre e comunque
lei luce fulgida
lei sempre dentro te
lei insopprimibile pulsione.

Emozioni sempre nuove
lei che ti diverte
lei che ti commuove
lei che è mille porte aperte.

Lei, la tua Joie de vivre
calda di giallo e ocra
lei, intimo esprit libre
blu come il cielo là sopra

Come nota in levare
rimani sospeso
sul battito a galleggiare
s’illumina il sorriso.

Lei che ha un prezzo,
fatto di rinunce.
Lei che non è in saldo
lei, brezza sulle guance.

Lei che è splendente
lei che è felice
lei che è solare
lei giovane compagna

lei… LA TUA LIBERTÀ.


« PE’ SOCIALIZZARE… »

La domenica è arrivata
dopo una dura settimana
finalmente una giornata
di riposo e vita bona.

I’problema sai quale gl’è
che ‘un ci sono abituato
tutt’i’tempo sol per me:
dop’un’ora mi so’annoiato.

E mi tocca stà a pensare
come poté socializzare.

Ma una vocina la mi dice
“io un’idea, e ce l’avrei…
va’ di corsa ni’garage
e piglia i’gippone iuessei!”

Bell’idea ‘un c’aveo pensato
sfoggio i’foristrada da discoteca
si va tutti ai’supermercato
e lo parcheggio anche ni’ddivieto!

Pe’socializzare…
vò ai’centro commerciale

E ‘un mi dite che gl’è triste
che gl’è un vizio consumista
queste cose l’ho già viste
soliti discorsi da comunista!

E poi la domenica so’stanco
‘un c’ho voglia di pensa’
di ragiona’ ‘un ci penso manco
si po’ solo anda’ a compra’!

Pe’socializzare…
vò ai’centro commerciale

Ieri sera cinema e pizza
Uòrner villàgg, multisala
che m’importa della strizza
che chiuda il cinemino sotto casa

Mi metto in coda alla cassa
Popcorn, salatini e gelato
anche qui c’è una gran ressa
mi par d’esse’ ai’ssupermercato

Pe’socializzare…
vò anche nelle multisale

Gl’è dura fa vita di società
ma ci tocca se si vò socializzà.
Menomale che domani si lavora
e domenica ce n’è aperto un altro ancora.


Pugni

Lenti i passi in quel buio tunnel
Ottobre ’68, Stadio Olimpico, Città del Messico
La fuori un mondo, una generazione, brucia
e a casa, e in piazza, soldati la spengono

Niente proteste, fuori la politica da qui
500 studenti uccisi in piazza delle tre culture
ma correndo più veloci del vento
l’avete portata dritta sul podio.

PUGNI MOSTRATI,
IN ALTO LEVATI.
PUGNI A STRAPPARE,
DIGNITÀ CHE GLI SI VUOL NEGARE

Il circo non si può fermare
dalla giostra non si scende.
Stavolta i pagliacci non faranno ridere
Un guanto, un pugno, è ora di riflettere.

E intanto l’uomo dei boschi cantava:
“Non hai bisogno di un meteorologo
per sapere dove soffia il vento”

Ma la grassa America non capiva
Richiamati in patria, ma quale patria?
Non c’è riconoscenza, lavoro, ricompensa
ma emarginazione, accuse, minacce.

Il vostro talento al servizio di una causa
più grande di voi delle vostre ambizioni.
Non potevano perdonarvelo, certo
la bandiera, sola, merita rispetto.

E intanto l’uomo dei boschi cantava:
“Non hai bisogno di un meteorologo
per sapere dove soffia il vento”

Alzo gli occhi da questo foglio
dove ho provato a raccontarvi.
Tommy, John… un poster in camera mia:
“ribellarsi è giusto, ribellarsi è ora”

NON VOGLIAMO PIÙ ESSERE CARNE
DA PARATA ALLE OLIMPIADI.
NON VOGLIAMO PIÙ ESSERE CARNE
DA MACELLO IN VIETNAM.


Quelli di sempre

Un popolo magro
di minori arti
in Fiorenza opifici.

Due anni di tumulto
nostra la città
eppur sconfitti e traditi.

Ma il lento contagio
dell’esempio, no
non lo potevan fermare.

Siamo nuovi,
ma siam quelli di sempre

Continueremo dolente danza
stanchi di soprusi e torti
ad ogni passo la nostra oltranza
destinati a un’esistenza da insorti.

«Omnia sunt communia»
gridava il Magister
con noi contadini.
Son dodici i dardi
dritti al cuore
delle corti d’Europa

Fu sterminio in Turingia
ma “ciò che è della terra
vi sarebbe tornato”

Anche loro si dicono nuovi
ma sono sempre gli stessi
Oligarchi, principi, e…

chi vanificò assalti
sottrasse scale
per il cielo.

Noi, mai sconfitti
seppur perdenti,
ancora grideremo:

Siamo nuovi,
ma siam quelli di sempre

Continueremo dolente danza
stanchi di soprusi e torti
ad ogni passo la nostra oltranza
destinati a un’esistenza da insorti.

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Adius

Mi viene il dubbio che nemmeno PAZ sarebbe particolarmente affranto per il decesso del fu presidente “emerito”…

L’unica cosa… speriamo che riescano a “recuperare la scatola nera”, così forse qualcuna delle sue porcate verrà chiarita!

Non resta che salutarlo adeguatamente, con le parole del buon vecchio Piero Ciampi…

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“ALTAI” di Wu Ming

 Ecco il mio commento sul nuovo, attesissimo (da me di sicuro!) libro dei Wuming…

Dice: "Non male ‘Altai‘, però non è ‘Q‘!".
E
certo che non è lo stesso libro: sono passati molti anni e i Wu Ming
sono, inevitabilmente, cambiati (non soltanto come composizione del
collettivo) ed evoluti.
A chi lamenta la distanza dal libro
d’esordio viene da rispondere (con una metafora musicale) che
preferisco di gran lunga chi fa canzoni sempre diverse, ma con un suono
che le contraddistingua e le renda immediatamente riconoscibili (ad
esempio la chitarra di Paolo degli Yo Yo Mundi), piuttosto che chi fa
canzoni con lo stampino, quasi indistinguibili l’una dall’altra (ogni
riferimento all’ultima produzione di quel rocker di Correggio non è
propriamente casuale).
Uscendo dalla metafora, in ‘Altai’ il suono della chitarra
dei Wu Ming è la capacità di proporci e maneggiare con destrezza così
tante lingue, dialetti, idiomi (come il "giudesmo"); è l’attenzione per
certi particolari, come la datazione che cambia da cristiana, a
musulmana, ad ebraica, a seconda di dove si svolga l’azione; è
l’utilizzo di parole "antiche" (come giustacuore, schidionata, umore
saturnino, querimonie… tanto per citarne alcune) che ci calino
nell’atmosfera del romanzo; è la capacità di mutare radicalmente
registro (vedi la scrittura "immaginifica" dell’interludio che ha -alle
mie orecchie- echi Genniani); è il saper raccontare i tempi
odierni attraverso le immagini passate (oltre alla evidente questione
della tolleranza fra i diversi credo religiosi, mi ha colpito l’accenno
ai soldati drogati per aumentarne l’audacia in battaglia); è la
capacità di gestire così sapientemente i cambi di ritmo, come nel
capitolo dell’intuizione di Manuel/Emanuele, che ho trovato
eccezionale: il lettore sta con il fiato sospeso come il protagonista e
assiste al mosaico che lentamente si ricompone nella sua mente, mentre
si delinea il profilo della disfatta.
Infine voglio citare un passaggio, che ho trovato assolutamente, "memorabile":
«Se
voi desiderate prendere una lepre, che le diate la caccia con i cani o
col falco, a piedi o a cavallo, resterà sempre una lepre. La libertà,
invece, non rimane mai la stessa, cambia a seconda della caccia. E se
addestrate dei cani a catturarla per voi, è facile che vi riportino una
libertà da cani.
».
Un po’ come dire che si può partire "incendiari e fieri" (leggasi ‘Q‘) senza finire "tutti pompieri" (leggasi ‘Altai‘)!

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“SETTANTA” di Simone Sarasso

Ho appena finito di leggerlo, e… ecco qua!

copertina

Mutuo quello che i Wu Ming scrivevano a proposito del loro "Manituana":
«[…] è un libro da leggere con calma, senza foga né prescia. Quando tutto accade veloce, impara a essere lento. L’acquolina va bene, la bava alla bocca no.»
Io purtroppo ho questo difetto: quando un libro mi piace, mi prende davvero… non riesco a non dedicargli ogni momento libero, non riesco a non avere, appunto, "la bava alla bocca" per capire "come va a finire".
Ma "Settanta" lo aspettavo da troppo, dall’ultima pagina di "Confine di Stato", quindi ho tentato di impormi una lettura più attenta (non sempre riuscendoci, ma tant’è…), con tanto di foglio per gli appunti sempre ripiegato dentro al libro, sempre pronto a raccogliere impressioni, spunti, riflessioni, ecc.
Il commento che segue nasce, quindi, da questi appunti, è un po’ un "divenire".
La cosa incredibile (e piacevole) è che, giunto alla fine del libro, la postfazione -quella splendida postfazione che ha scritto Sarasso– ha contemplato alcuni di questi appunti, uno su tutti: la storia raccontata non è vera (le stragi di stato, Italicus e stazione di Bologna, non sono bombe messe per uccidere i potenti di turno, scampati ad esse solo per un caso fortuito, questa è soltanto una "licenza" che ha reso l’evento più funzionale al racconto), ma è verosimile: un paese marcio, purulento, come quello descritto nel libro non è poi molto dissimile da quello putrido in cui vivevamo (viviamo!). E se questa micro-ucronia, questo minuscolo spostamento di asse, farà venire voglia a qualcuno di farsi due ricerche e cercare di capire come andarono davvero le cose (per quello che è possibile saperne, ovviamente… ché le nebbie son fitte e persistenti, da queste parti)… potremo dire che Sarasso avrà avuto ragione!
Già, perché la prima cosa che mi è venuto da domandarmi, leggendo le pagine iniziali del libro, è stata: "ma quanti saranno, oggi, gli italiani che leggendo di questo golpe tentato/abortito sapranno di cosa si sta parlando? quanti avranno un’idea di cosa sia stato il ‘Golpe Borghese‘?"… La risposta è avvilente, e rende questo libro (e "Confine di Stato" il suo predecessore, e il terzo elemento della "Trilogia Sporca", quando verrà) ancora più necessario!
Detto della "sostanza" del libro, passiamo alla sua "forma", la lingua.
"Settanta" è figlio di una scrittura eccezionale: una scrittura che in certi momenti è pura cinematografia, tanto è immaginifica. Una scrittura che a me ha ricordato tanto Giuseppe Genna, ed il suo "Hitler" (il continuo «esorbitare» del dittatore si rispecchiava benissimo in passi come «la Camera si espande, muta», oppure «Il nucleo inghiotte ossigeno, si espande, dilata i confini»). Una scrittura che fa un abbondantissimo e godibilissimo, utilizzo di tantissimi dialetti: il romanesco di Nando Gatti, il milanese di Ettore Brivido, il siciliano di Cuttieddu, il calabrese di Domenico Incatenato, ecc… (altro appunto preso durante la lettura – mi chiedevo come mai il narratore assumesse il dialetto del protagonista di cui stava parlando, ad esempio Cuttieddu che «taliò la luna» – e che poi è stato spiegato perfettamente nella postfazione).
Infine due passaggi che ho adorato: il momento in cui Nando Gatti ha la trasfigurazione e smette di recitare la parte del Commissario Girone, per diventarlo "davvero", sembra davvero di vedere quel qualcosa che gli si rompe nella testa; e quello in cui Nando/Commissario si risveglia dal coma, e qua un tarantiniano come me non poteva non apprezzare il parallelo col risveglio di Beatrix Kiddo, la sposa di "Kill Bill".

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Vorrei

Vorrei poter essere uno di quelli che se ne frega, uno di quelli che non vota e si disinteressa di questa politica («Ché tanto sono tutti uguali!»).

Vorrei potermi isolare, consolarmi sapendo che non è vero che per i prossimi cinque anni dovrò sorbirmi quella feccia, tutto il giorno, tutti i giorni, su ogni giornale/tv/radio/sito.

Vorrei riuscire a smetterla di credere, ogni volta, che questo paese saprà dimostrarsi un po’ meglio di quello che si potrebbe pensare.

Vorrei non dover constatare, ogni volta, che questo paese ha la sconcertante (per me) capacità di andare ben aldilà delle più fosche previsioni. 

Vorrei non stare così male, dall’arrivo delle prime proiezioni, ieri pomeriggio.

Vorrei scorgere una direzione da seguire, una speranza da coltivare.

Vorrei non essere così pessimista. 

Vorrei non dovermi rendere conto di essere diventato un extraparlamentare perché il paese si è spostato a destra, e non perché io mi sia radicalizzato a sinistra.

Vorrei non dovermi rassegnare ad un paese che vede ogni migrante (ma più in generale ogni… "altro") come una minaccia, un problema da eliminare senza alcun scrupolo.

Vorrei -al limite- poter addebitare questo tracollo elettorale esclusivamente ai funzionari della sinistra, e non anche all’imbarbarimento della "massa" (che vogliamo fare? diveniamo tutti filo-fascisti per inseguire i maldipancia di un elettorato sprofondato in un abisso culturale?).

Vorrei… vorrei tante cose, vorrei queste che ho elencato, e ne vorrei molte altre…
ma mi rendo conto che adesso come adesso.. l’unica cosa che sento è solo un profondissimo astio, rancore, odio… generalizzato, tutti li avverto come responsabili di questo sfacelo (la destra, i partitidemocratici, gli arcobaleni quando stanno all’opposizione, gli italiani).
quellicomeme ormai non sono che una specie in via di estinzione, reperti di un tempo che fu.

D’accordo, avete vinto voi… siete onnipresenti, onnipotenti.
Fate un po’ come vi pare, io continuerò a detestarvi… con tutta la forza che ho in corpo. 

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Inauguriamo…

Non so se/quanto riuscirò ad aggiornare questo blog, però era da un po’ che ne avevo voglia, e allora.. proviamoci, dai… 

BENVENUT* A CHI LEGGERÀ!

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